Lavoro, Caponi al convegno Anfe: “I tempi del decreto Flussi non rispettano le necessità delle aziende agricole"


Inverno demografico e scarsità di lavoratrici e lavoratori sono due temi, strettamente legati l’uno all’altro, e sui quali aumentano le iniziative per agevolare l’incontro tra domanda e offerta lavorativa. Un esempio è stato il convegno organizzato dall'Associazione Nazionale Famiglie degli Emigrati (Anfe) nella sede del ministero del Made in Italy, a cui ha partecipato anche il direttore generale di Confagricoltura, Roberto Caponi.

Il focus dell’evento sono stati i punti di contatto tra gli italobrasiliani e italoargentini di seconda e terza generazione e lo Stivale. Tanti, tra loro, sarebbero pronti a trasferirsi in Italia per lavorare nei più disparati settori, tra cui quello sanitario e quello ingegneristico – i due su cui l’Anfe si è concentrata durante il dibattito.

Tutti d’accordo su un punto: strumenti, come il decreto Flussi, risultano ormai inadeguati rispetto alle moderne dinamiche del mondo del lavoro. Ciò che manca è, infatti, la capacità di attrarre persone in età lavorativa e di metterle a disposizione delle aziende in tempi brevi e soprattutto, utili.

Argomento, quest’ultimo, a cui è molto sensibile il settore primario, che lamenta da tempo l’eccessiva lentezza delle autorizzazioni necessarie alla manodopera extra-Ue per arrivare su suolo italiano. “La produzione agricola deve fare i conti con i tempi della natura – ha detto Caponi, intervenuto insieme ad altri rappresentanti dei settori produttivi (Federitaly, Anpit, Fiap) –. C’è una stagione per la semina e una per la raccolta e le aziende devono essere messe nelle condizioni di svolgere le attività necessarie quando è necessario che vengano svolte”.

I tempi attuali per il reclutamento di lavoratori non tengono conto, invece, di questa peculiarità del comparto. “Sono necessari circa nove mesi per avere materialmente le persone richieste tramite il decreto Flussi – ha proseguito il dg –. Così le imprese si ritrovano con personale che non possono utilizzare appieno e a cui non possono prospettare una regolarizzazione del contratto”.

Non dare seguito a rapporti lavorativi che, invece, meriterebbero di essere coltivati, ha un effetto negativo anche per i territori su cui insistono le colture che soffrono la carenza di personale. Territori che, spesso, appartengono alle aree interne e rurali del Paese, dove l’agricoltura, ha ricordato Caponi, rappresenta spesso l’unica economia strutturata.

Ma se si parla di agricoltura, ormai, non si parla più soltanto di manodopera non specializzata. Le nuove tecnologie, le pratiche di agricoltura 4.0 e rigenerativa richiedono un livello di formazione non indifferente. Da qui, ha sottolineato Roberto Caponi, la necessità di “professionalizzazione delle persone interessate a lavorare nel nostro settore. Persone che – ha ricordato – sono 1/3 non italiane e non europee”.

In tal senso si muovono gli accordi tra Confagricoltura e Tunisia e più recentemente, con l’Uzbekistan e l’iniziativa del servizio digitale di ConfagriJob, realizzato dalla confederazione in collaborazione con Umana e Indeed.