La fascia confinaria è una striscia di terreno lasciata dal venditore tra il fondo alienato e quello del vicino, spesso per impedire l’esercizio della prelazione agraria da parte del confinante. Perché sia giuridicamente efficace a escludere la prelazione, la fascia deve avere autonomia agronomica e funzionale, ossia essere coltivabile e dotata di una sua utilità, anche modesta. Se invece è sterile o inutilizzabile può essere considerata un artificio elusivo.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 25412/2024, conferma che il semplice frazionamento del fondo non costituisce automaticamente un mezzo per aggirare la prelazione: solo una fascia priva di qualunque utilità agricola può essere qualificata come artificiosa. L’onere di dimostrarne l’inidoneità produttiva grava sul confinante che esercita il riscatto.
Nel caso esaminato, la consulenza tecnica ha evidenziato che la porzione di terreno residua era effettivamente coltivabile, escludendo qualsiasi intento elusivo.
La pronuncia ribadisce l’adesione della giurisprudenza alla teoria della contiguità materiale, secondo cui la prelazione spetta solo se i fondi sono fisicamente adiacenti. È quindi legittima l’interposizione di una striscia di terreno sfruttabile, che interrompe la contiguità.
La Corte precisa inoltre che la fascia confinaria non deve generare un reddito elevato: è sufficiente che sia potenzialmente idonea a un uso agricolo autonomo.
In conclusione, l’ordinanza rafforza un orientamento restrittivo: la prelazione agraria del confinante è esclusa quando la fascia interposta, anche minima, è coltivabile e produttiva, pur sollevando dubbi sulla coerenza con le finalità originarie della normativa, orientata a favorire l’accentramento fondiario.